Cetaceo del Miocene fossilizzato con il suo ultimo pasto: scoperta la causa della morte

Ancora un importante riconoscimento internazionale per la ricerca di eccellenza di Unicam.

E’ infatti stato appena pubblicato sulla prestigiosa rivista inglese “Proceedings of the Royal Society B” un lavoro di ricerca in ambito geologico-paleontologico di cui è autore, tra gli altri, il prof. Claudio Di Celma, docente della sezione di Geologia della Scuola di Scienze e Tecnologie di Unicam.

Il prof. Claudio Di Celma, in collaborazione con i ricercatori delle Università di Pisa e Milano-Bicocca e dei musei di Rotterdam, Bruxelles, Parigi e Lima, sta seguendo un importante progetto multidisciplinare in ambito geologico-paleontologico nel Perù meridionale, progetto sostenuto dal MIUR (PRIN) e dal prestigioso Committee for Research and Exploration del National Geographic.

Lo scopo della ricerca è quello di studiare l’evoluzione dei principali gruppi di vertebrati marini dell’era cenozoica in una zona remota del deserto costiero del Perù, il Deserto di Ica conosciuto come “Deserto delle Balene” per l'eccezionale numero di fossili di balene, e non solo, di età miocenica (9-7 milioni di anni fa) che vi si rinvengono.

L’articolo pubblicato è relativo allo studio su uno scheletro fossile di uno Ziphiidae, una famiglia di cetacei odontoceti, cioè forniti di denti. I ricercatori hanno rinvenuto nella gola del fossile l’ultimo pasto del cetaceo e ne hanno potuto così ipotizzare stile di vita e causa della morte.

I rappresentanti attuali di questa famiglia si alimentano a diverse centinaia di metri di profondità, pescando selettivamente calamari, pesce, e altre prede. “L'individuo fossile che abbiamo studiato noi – sottolinea il prof. Di Celma – mostra invece che almeno una specie ancestrale (Messapicetus gregarius) in questo gruppo di balene dentate incrociava acque vicino alla superficie per la sua alimentazione. L'individuo fossile studiato in Perù, infatti, è stato rinvenuto in associazione con fossili di sardine della lunghezza di circa 35-40 cm, anch'esse fossilizzate, nella cavità toracica, in quella orale e appena fuori di essa. Le sardine in questione non presentano indizi di digestione, lasciando supporre che siano state inghiottite pochi minuti prima della morte dello Ziphiidae e in parte rigurgitate nei suoi ultimi istanti di vita”.

“La nostra ipotesi – prosegue il prof. Di Celma – è che la morte di questo esemplare sia da attribuire a un processo di trasferimento trofico di tossine algali lungo la catena alimentare, a partire da dinoflagellati, a crostacei planctonici, ai pesci e infine al mammifero marino, processo questo che è causa di morte molto frequente nei cetacei anche al giorno d’oggi. Questo studio documenta dunque per la prima volta una possibile causa di morte e aiuta a far luce sull'evoluzione di queste balene e la loro concorrenza: subito dopo che M. gregarius aveva popolato i mari della regione, i delfini apparvero sulla scena e il loro successo in acque costiere poco profonde può avere spinto gli Ziphiidi ad abbandonare la pesca nelle acque di superficie e spingersi in cerca di cibo in quelle profonde”.

La terza campagna di ricerca in meno di un anno si è da poco conclusa ma il team è già in partenza in questi giorni per il Perù per scoprire e ricostruire gli eventi della storia geologica del Pacifico orientale tra i 9 e i 7 milioni di anni fa. 

data di pubblicazione
autore
Egizia Marzocco